Avendone avuto l'autorizzazione, benché l’ordinanza
è già un atto pubblico, e comunque
espunti i dati e le informazioni
sensibili del procedimento e dei nomi di
entrambi i coniugi (posto che la controparte potrebbe non gradire), oggi vi parlo di tre ordinanze emesse nel corso di un processo per la
cessazione degli effetti civili del matrimonio (divorzio), a tutt’oggi pendente
presso il tribunale di Cosenza. Il contenuto delle stesse attiene prevalentemente alla rilevanza processuale e alla portata offensiva del termine
"deviazione sessuale",
attribuita dal collegio difensivo di un coniuge (composto da due professionisti del Foro di Cosenza) all'altro coniuge (da me
assistito), insinuandone l’omosessualità, attribuendogli la responsabilità del divorzio e la nullità del matrimonio, ai sensi e per
gli effetti dell’art. 122,comma 3, n° 1 del CPC.. Di fatto affermando che la mia assistita è
omosessuale e, in quanto tale, affetta da
una "malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale”,
tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale.
Tutto ciò nel nobile tentativo, dichiarato in
udienza, di ottenere la cancellazione in via retroattiva dell'assegno di mantenimento di €. 200,00, già
deciso e fissato dai coniugi in sede di separazione consensuale.
E comunque la mia assistita aveva già dichiarato di rinunciarvi.
In un primo momento l'inciso "devianza sessuale", su istanza della sottoscritta, che ne ha sollevato l'offensività, è stato espunto con ordinanza del Giudice, Dott.ssa Antico, del 13.05.2013.
Successivamente
su invito del Giudice Palma,
giusta ordinanza del 24.11.2014,
i due coniugi sono stati invitati a comparire in udienza, a fornire chiarimento e, comparsi all'udienza del'8.01.2015, hanno aderito all'invito formulato dal Giudice raggiungendo l'accordo sulle condizioni di divorzio. Il
Giudice nella stessa udienza trasmetteva la causa al
Collegio per la decisione.
Era tutto troppo bello per essere vero, perché era come se la civiltà giuridica laica, illuminata e libertaria, avesse finalmente messo piede anche in Calabria.
Ma al posto della sentenza è arrivata un'altra ordinanza, qui si seguito pubblicata.
La decisione assunta dal Tribunale bruzio nella Camera di Consiglio del 19.02.2015, presieduta dalla Dott.ssa Rosangela Viteritti, sopra riportata, in barba all'economia processuale e alla necessità di favorire le conciliazioni, ha disposto la rimessione della causa sul ruolo per l'espletamento di una ulteriore fase istruttoria cui le parti, assistite dai loro avvocati, avevano congiuntamente rinunciato. Tutto ciò contro ogni principio di ragionevolezza, di legge e di buon senso. Contro lo stesso accordo raggiunto dalle parti grazie allo sforzo umano e giudiziario compiuto dal Giudice Palma, che ha adempiuto caparbiamente al dovere che grava su ogni Giudice: favorire, in ogni fase e grado del processo, la conciliazione delle parti e il raggiungimento di un divorzio consensuale. Una decisone, dunque, discutibile anche sotto il profilo di violazione nel principio della domanda e del pronunciato, tenuto conto che gli avvocati di entrambi i coniugi, che hanno anche sottoscritto, hanno rinunciato ai termini per il deposito delle memorie conclusive e dopo una breve discussione, ne hanno chiesto la decisione.
Ma l'aspetto più duro da dover accettare, la parte che mi lascia più sconcertata, offesa, basita, per la gravità del messaggio che si rilancia, è la leggerezza con la quale il Tribunale di
Cosenza, ha disposto d’ufficio
la revoca dell'ordinanza che espungeva l'inciso "devianza
sessuale", perchè a suo
giudizio "... trattasi di formula ripetitiva di quella contenuta nell'art. 122, comma
3, n° 1, CPC, il cui utilizzo non ha alcun intento offensivo della controparte, ma trova giustificazione
nell'esigenza difensiva connessa alla proposizione della domanda di annullamento
del matrimonio..." Con ciò
affermando, di fatto, che l'omosessualità è una malattia fisica o psichica o una anomalia
o una deviazione sessuale.
Ovviamente al Tribunale di Cosenza poco importa se l’Organizzazione
Mondiale della Sanità, con risoluzione del
17 maggio 1990, ha finalmente affermato che l’omosessualità non è una malattia,
bensì una variabile normale del comportamento sessuale umano.
Così come poco importa
se la dottrina e la giurisprudenza più
qualificata e di più recente e civile
formazione, ritiene che il matrimonio può essere annullabile anche per l’omosessualità
tenuta nascosta del coniuge, se questo abbia
indotto in errore l’altro coniuge e se non
abbia consentito lo svolgimento della vita coniugale, ma non certo
a norma del dell’art. 122, comma 3, n° 1 del codice di procedura civile,
proprio perché la omosessualità (precedente,
successiva, dichiarata, nascosta ecc. ecc. ecc) non è
una malattia e non può essere indicata come una devianza. Tutt'al più la nullità può essere richiesta e dichiarata ai sensi e per gli
effetti del comma 1 dello stesso
articolo, per errore sull’identità complessiva del coniuge e sempre che il coniuge, pur sapendo
di essere gay, lo ha taciuto volontariamente, inducendo l’altro in
errore, e comunque, cagionando l’assenza
di rapporti sessuali nel matrimonio (Tribunale di Milano 13 febbraio 2013)
PS: i coniugi in questione si sono separati perché, come
tante altre coppie, dopo anni di amore e di passione, di fidanzamento e di matrimonio, nel quale sono nati anche due
figli (e certo non per opera dello spirito santo) oggi adolescenti, dopo anni di lavoro e
di progetti condivisi, hanno smesso di
amarsi. Non si sono più cercati, non si sono trovati, né voluti. The End! Tutto qui!
Tanto è vero che l’altra parte, e cioè il marito della mia assistita, che oggi è uno splendido cinquantenne, già da prima della pronuncia della separazione consensuale (omologata in data 9.10.2008) convive con una giovane donna, oggi appena ventenne (e quindi a conti fatti all’epoca forse appena quindicenne), che da pochi mesi lo ha reso di nuovo papà.
Tanto è vero che l’altra parte, e cioè il marito della mia assistita, che oggi è uno splendido cinquantenne, già da prima della pronuncia della separazione consensuale (omologata in data 9.10.2008) convive con una giovane donna, oggi appena ventenne (e quindi a conti fatti all’epoca forse appena quindicenne), che da pochi mesi lo ha reso di nuovo papà.
PPSS: I danni materiali e morali che ha subito e subirà
la mia assistita per il comportamento a dir poco persecutorio ed omofobo della
controparte e i costi giudiziari conseguenti
la decisione assunta dal Tribunale di
Cosenza, purtroppo sono, un gran parte,
a carico di noi contribuenti dal momento che la mia assistita è stata
ammessa al gratuito patrocinio perché nullatenente e disoccupata, perché i
giudici sono dipendenti pubblici, perché il ritardo con cui interverrà una
sentenza giusta ci indurrà a chiedere il risarcimento danni allo Stato Italiano,
nel cui nome la giustizia viene amministrata.
Per ridere:
Un mio conoscente, proverbialmente poco gay friendly e
poco raffinato, sostiene che “è troppo facile
fare i gay con il culo degli altri”. Permettetemi di essere altrettanto
raffinata affermando di riflesso che “è troppo comodo offendere, negare i diritti,
discriminare e azzardare giudizi e pregiudizi sulla sfera sentimentale,
speculare sulla fatica di vivere, sulle ferite, sui percorsi affettivi di
ognuno e sull’orientamento sessuale delle persone con i soldi del contribuente”.