A proposito della recente giurisprudenza favorevole all'adozione di un minore da parte di una coppia di donne e alla querelle che ne è scaturita, mi rammarica constatare come in Italia riusciamo a fare demagogia e campagna elettorale su tutto, anche su temi così delicati ed intimi. Nel merito preciso che la sentenza è più che giusta e che non è un atto atto rivoluzionario né una interpretazione estensiva e abnorme della legge. Tutt'altro! Trattasi di un atto dovuto, di una decisione corretta, logica e motivata, con cui si è semplicemente e finalmente preso atto e "dichiarato con sentenza" che, il principio fondamentale sotteso , l'interesse giuridico tutelato con l'istituto dell'adozione, non è diretto a garantire "UN FIGLIO" a chi non ha avuto la fortuna di partorirne uno legittimamente o naturalmente (come volevano gli antichi romani prima, il codice napoleonico poi e quello civile italiano del 1865), ma di dare una "FAMIGLIA" ad un minore che ha avuto la sfortuna di non avere un padre e una madre e ciò in forza della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, nota come Convenzione dell'Aja, ratificata dal Parlamento italiano il 31 dicembre 1998 con la L. 476, e anche in forza della nuova dottrina cattolica nata con il Concilio Vaticano II (18 novembre 1965), nel decreto Apostolicam Actuositatem (apostolato dei laici), cita «fra le varie opere di apostolato familiare ci sia concesso enumerare: adottare come figli propri i bambini abbandonati».
Per un bimbo, per un minore, per un adolescente, ogni contesto in cui vi è un centro di affetto e di organizzazione domestica stabile, tale da consentire un percorso educativo di crescita psico-fisica ed affettiva sereno o maggiormente sereno, è da preferirsi all'abbandono, al collegio, alle case famiglie, agli affidamenti annuali a rotazione, che non consentono uno sviluppo sano della persona umana.
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