Sì, è così, e molto più spesso quando mi si chiede che lavoro faccio, sorvolo, glisso, perché dire di essere avvocato non significa più esercitare la professione più nobile che ha reso possibile l'affermazione degli Stati moderni, ma è quasi come confessare di essere nella migliore delle ipotesi un azzeccagarbugli, un leguleio, un traffichino, un imbroglioncello, un cacciatore di taglie, uno che vive e si nutre alimentando l'ingiustizia, le disfunzioni, favorendo la crescita del debito pubblico, anzi avendo contribuito a produrlo tanto quanto la cattiva gestione della sanità.
Oggi appartenere a questa categoria professionale significa purtroppo condividerla anche con molti, troppi colleghi, che esercitano la professione forense come certi chirurghi la professione medica: certificare una diagnosi infausta, ovvero promettere una guarigione impossibile, per convincere il paziente ad una operazione inutile, se non addirittura dannosa, e ciò solo per aumentare il proprio guadagno personale.
Non è solo un modo di intendere, vivere e praticare la professione forense o quella medica, ma è indicativo della considerazione che ognuno di noi ha delle persone, dei propri clienti, dei propri pazienti.
Ed è la misura del valore che si da alla vita, anche a quella propria di uomini di legge, di scienza e di chiesa.
Nessun cambiamento è possibile, a nessun cambiamento si può aderire, se non siamo disposti a cambiare noi stessi prima di chiedere di cambiare a coloro che vivono fuori dall'uscio della nostra casa.
il raggio verde |
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